Riferimenti critici


In condizioni culturali normali, Kyçyku sarebbe stato considerato un Márquez del Sud-Est europeo (…) Kyçyku è il bambino prodigio di una Romania che ricorda ancora di essere stata, un tempo, Tracia… Ecco un esempio recente: il romanzo monumentale Una tribù gloriosa e morente. Sono molto realistico quando affermo che questo autore si trova già sull’uscio del Premio Nobel. Vasile Andru, Plural Magazine, 1999 

La narrativa di Ardian-Christian Kyçyku è, in fatti, un generoso invito alla bellezza sublime, è il divertimento di un funambolo della lingua albanese, della lingua rumena, di tutte le lingue del mondo. Kyçyku sarebbe capace di scrivere un bel romanzo anche in un idioma di cui non ha mai sentito un solo suono. Ecco è quel tipo di narratore. Il bardo per eccellenza, colui che risucchia il lettore dentro il racconto, lo soggioga letteralmente con la sua maestria, senza dargliela facile, ma senza nemmeno costringerlo a scervelarsi per seguire la trama. In una breve frase di Kyçyku puoi ridere e piangere istericamente. è tale l’intensità della sua scrittura, la profondità dello umor, la penetrazione chirurgica della sua lama, l’abilità con cui imbastisce il racconto. Elvira Dones, prefazione a I fiumi del Sahara, edizione italiana, 2011 

33 episodi di una saga che preannuncia una nuova mitologia balcanica: una composizione violenta e sensuale, che perverte il logos imponendogli l’iperbole e l’ossimoro come leggi assolute; trentatré gradini verso l’età della salvezza e della redenzione, su una croce adorata con una passione che non esclude la polemica; trentatré stanze che trasformano la storia in poema e il poema nella vita di un poeta impazzito per la follia del mondo – cos’altro può essere più dolce di questo mistero che pare scriversi da solo? Ardian-Christian Kyçyku è una delle grandi rivelazioni della prosa contemporanea. Dan-Silviu Boerescu, Nuova mitologia balcanica, art-Panorama 

Narratore visionario, di una forza straordinaria, pratica una vera maieutica applicata alla memoria universale; non può fare a meno di scavare nel ventre di pietra del mito, per estrarne con entrambe le mani il risultato insanguinato e gettarcelo davanti insieme a un torrente di parabole, spesso più nascoste che rivelatrici. È sorprendente – in questo caso – il processo naturale attraverso cui la distopia universale nasce in un ambiente che sembra invece pienamente conforme alla normalità. Bogdan Alexandru Stănescu, Ziarul de Duminică 

L’Albania ha già un altro autore di levatura universale, non per la quantità delle sue opere, ma per lo stile magico, per l’architettura assolutamente originale di molti dei suoi libri, per i messaggi al contempo nazionali e universali, con un coraggio intellettuale fuori dal comune. Qui ritroviamo la psicologia delle Donne di Bukowski, il realismo magico di Márquez, i salti pindarici di Buzzati, il realismo tagliente di Balzac. Una fusione di tutti gli stili nello stile raro di un autore che non poteva che essere albanese, nato tra il primitivismo e la civiltà, tra le leggende e i fatti reali, tra la verginità della natura e la violazione della personalità scenica. Novruz Xh. Shehu, Gazeta Shqiptare 

Il lettore sovente ha l'impressione di inoltrarsi in un sottobosco troppo fitto nel quale rischia di perdersi. Come se l'autore avesse voluto dare prova di un talento esuberante e strabordante, a volte persino ridondante. Tuttavia l'abilità dell'autore e il suo stile personale sono innegabili. Il libro, tutto in prima persona, racconta del ritorno del protagonista nel paesino natale sulle rive del lago Ohrida (dove l'autore è nato). A causa di una frana che blocca i contatti col mondo esterno, l'io narrante è costretto a fare i conti col suo passato, travolto anche lui dalla frana dei ricordi. Attraverso un monologo interiore ricco di immagini liriche e di invenzioni linguistiche, incalzante, ironico e febbrile l'autore-autore fa i conti col suo passato, al quale, evidentemente, è ancora legato. Lorenzo Pompeo, Una bella sorpresa e una promessa 

In realtà non è una storia che si può raccontare. E’ un sogno, un tempo dilatato e rallentato ma pur sempre sfuggente, è amore, è una storia attraversata da uno humour sottile e affilato come una lama. Kamela Guza, I fiumi del Sahara 

Ardian-Christian Kyçyku è uno scrittore balcanico, classe 1969, perfettamente bilingue: albanese, per sangue e per formazione culturale, e rumeno, per adozione culturale, estetica e politica. Non è l'unico scrittore albanese a incarnare questa commistione: sembra sia una sorta di tradizione albanese, quella di scrivere bella letteratura dopo aver vissuto un periodo in Romania, nutrendosi del respiro di quel popolo, e della dialettica con i suoi artisti. Kyçyku, in un recente e ricco scambio di battute con la stampa italiana, ha parlato di una “lunga e consolidata tradizione”, in questo senso. (…)il sarcasmo va a tingere di grottesco, e puntinare di irrealtà, la narrazione di qualcosa di altrimenti sin troppo vivido e comprensibile: vale a dire il quadro della sofferenza e dell'alienazione di un uomo troppo sensibile in un contesto che non è in grado di comprendere la sua sensibilità: se non nel miracolo d'un amore. L'alienazione, come forse è prevedibile, diventa allucinazione. Gianfranco Franchi, Lankelot 

La sua prosa visionaria può essere accostata a quella di Kafka, Kadarè, Buzzati o Murakami, attinge a un immaginario più balcanico che albanese ma aspira chiaramente all’universalità. Anna Latanzi, Letteratour 

… sono sempre più convinto che Ardian Kyçyku, se non possiede – per così dire – due lingue madri, è bilingue fin dall’infanzia. Perché non si può scrivere con tale disinvoltura, con tanto vigore, dare tanto colore e ritmo a parole che si sarebbero apprese solo a scuola o più tardi. Acad. Dan Grigorescu, Cultura Națională 

Ardian-Christian Kyçyku: non dobbiamo perdere di vista il carattere eccezionale della sua presenza qui e ora – e, in generale, nella letteratura romena. Non è un albanese che scrive in romeno (…) è uno scrittore albanese nel pieno senso della parola, che ha scelto consapevolmente di scrivere anche in romeno, ripercorrendo, in un certo senso, l’esperienza di Panait Istrati. Ardian-Christian Kyçyku è un Panait Istrati della letteratura albanese, che ha scelto il romeno al posto del francese. Mircea Martin, Ziua 

Ardian Kyçyku, un narratore bilingue di grande talento, un nome di primissimo piano in entrambe le letterature: quella romena e quella albanese. Eugen Uricaru, I Balcani e l’Europa 

Oltre il ‘realismo magico’, che sembra definire la sostanza epica (e la visione ontologica) delle sue prose – un insolito miscuglio di realismo, a volte crudele, privo di illusioni, cioraniano, e di immaginario ‘fabulatorio’, folclorico, mitico, onirico, in un “tempo sospeso” alla Eliade – emerge in Ardian‑Christian Kyçyku l’espressività inconsueta della lingua romena in cui scrive, come se avesse trasgredito, tacitamente, nella lingua d’adozione tutto il fremito occulto della lingua albanese. Ştefan Ioanid, ProSaeculum 

Lo considero uno dei pensatori e narratori albanesi più profondi, con un’estetica unica non solo nella prosa, dove si distingue, ma in ciascuna forma che ha scritto — saggi, lavori, sceneggiature. Arian Leka, România literară 

Ardian‑Christian Kyçyku ha due patrie letterarie, esaltate in ciò che scrive. Per l’Albania nutre la responsabilità che deriva dal luogo natale e dalle sue prime parole. La Romania è per lui una scelta spirituale che non scambierebbe con nulla. Venuto da una terra riflessa nell’Ohrid mitico e da una repressione ideologica mutilante e selvaggia, la storia della sua prosa è in realtà il trionfo di un talento straordinario. Iolanda Malamen, Vremea locțiitorilor 

Il fatto che nel paese d’origine sia considerato alla pari di uno scrittore del calibro di Ismail Kadare, e che in Romania sia stato assimilato come un “Márquez dei Balcani”, può rivelare molto – e lo rivela – malgrado un silenzio “diplomatico” e esitante della critica specialistica autoctona. In fondo, siamo davanti a un grande narratore di cui dovremmo essere orgogliosi a ogni respiro. Paul Vinicius, Agora online 

Con la percezione di chi attende con impazienza l’età di 70 anni (perché? nemmeno io lo so), direi che Ardian‑Christian Kyçyku, a quarant’anni, è ancora un giovane scrittore. Cioè, giovane quanto la nostra democrazia “emergente” e, al tempo stesso, maturo (anzi, proprio vecchio‑vecchio) come i Balcani. È giovane perché scrive sempre in modo nuovo, ed è vecchio perché è un grande maestro. È stato dapprima aedo del mondo albanese, poi dello spazio balcanico, e ora è uno scrittore universale, di tutti gli spazi. Inclusi quelli della Vita e della Morte, e della loro affascinante frontiera. Corneliu Vlad, Ziarul Informația 

Senza dubbio il portavoce più autentico di questa metà di secolo, realistico e magico, semplice e complesso, sincero, un gigante della scrittura. Home è un personaggio sempre fresco, che vive tutto il tempo e non muore mai, proprio come Don Chisciotte, attraversando i tempi e meravigliando l’umanità con la sua ingenuità e genialità. I romanzi di Kyçyku non sono storie usuali su persone ed eventi storici, su vicende interessanti o attrazioni passeggere con bellezze virtuali — per far passare il tempo e che non servono a nulla. Oltre alla letteratura cui siamo abituati da anni, i suoi romanzi rappresentano una visione e un’analisi, la decifrazione dell’esistenza fino ai dettagli “vergognosi”, ma profondamente veri. Ardian‑Christian Kyçyku è un mito della scrittura, ha capito come nessun altro che la letteratura non è una semplice narrazione lineare. Istref Haxhillari, Mokra 

In questa prosa il lettore può gustare la musica di un altro mondo, dove qualcosa di superiore risveglia l’anima che si spegne e dove l’uomo è un corpo non di carne, ma d’anima. Certamente, lo scrittore Ardian‑Christian Kyçyku riesce con una straordinaria virtuosità a fondere armoniosamente la sua sapienza d’autore, la sottile sensibilità dell’uomo e la maestria del narratore. Ragip Sylaj, Koha ditore 

La metafisica della descrizione porta qui uno stile e una figuratività letteraria perfetti, una vibrazione sottotestuale che rende ancora più triste il dolore per la morte del personaggio “Home”, quest’ultimo portando tutto il peso dell’esilio. Home, quel Don Chisciotte fuggito e quel triste Josef K. dei Balcani, sarà già scolpito nei cieli universali della letteratura. Dhurata Hamzai, TemA 

Il gusto che ti lascia la lettura della sua opera può essere “decifrato” come un processo in cui l’intuizione, danzando con l’immaginazione, offre una realtà eterna (a prescindere dalle oscillazioni emotive e dalla de-temporalizzazione). Essendo lui stesso un “partito”, l’autore conosce fin troppo il “tremore”, lo scivolare dei “pavimenti”, o la rotazione dei cieli. Blerina Goce, Metropol 

Questo suadente teppista intellettuale è condannato a rimanere lo stesso lucido ultrasensibile, aedo moderno dei tempi sempre tumultuosi di questa parte maledetta del mondo. Il giovane prosatore, come lo chiamano alcuni, è in realtà vecchio e tormentato come i Balcani. Ma un tormentato calmo, che si muove tra i dolci misteri della nascita e della morte, dell’inizio e della fine, con un’alzata di spalle da immortale o forse da essere razionale venuto da un altro mondo. Corneliu Vlad, Realitatea românească 

Si può dire senza esitazione che questo autore è lo scrittore più prolifico delle lettere albanesi negli ultimi cento anni! Ogni volta che leggi un libro (romanzo) del giovane genio delle lettere albanesi, chiamato Ardian‑Christian Kyçyku, rimani stupefatto.

Da alcuni anni è “in agguato” a Bucarest, in Romania, e quasi ogni anno tira fuori dalla sua “fabbrica letteraria” un romanzo di valore straordinario e incontestabile. Bajram Sefaj, TemA 

Ardian‑Christian Kyçyku è già arrivato molto lontano e molto in alto con la sua opera. Arrivano là, lontano e in alto, non coloro che hanno gambe forti per camminare e sanno fare acrobazie, ma quelli che il destino ha scelto. E il destino, per fortuna, sceglie raramente e senza errore. Hiqmet Meçaj, Gazeta e Athinës 

A metà del cammino della sua vita dantesca, Ardian‑Christian Kyçyku ha una bibliografia che farebbe invidia ai seniori della scrittura romena. Già nel 1988, sotto una dittatura schizofrenica di massima intensità, Tirana literară gli assegnò un premio nazionale per il romanzo Il trionfo di Proteo. Un titolo simbolico! Perché Proteo è l’autore stesso, con le sue oscillazioni tra novella e romanzo, letteratura e pittura, filologia e teologia, poesia e giornalismo – e la lista di doppi ruoli potrebbe continuare… S’è detto felicemente che questo albanese stabilito in Romania può essere chiamato “un Márquez dei Balcani”. Ma la sua prosa, talvolta laconica, talvolta ampia, non decifra solo la geografia ristretta di uno spazio maledetto, ma anche la condizione umana autentica. Nel profondo della sua essenza, Kyçyku è un filosofo per il quale il mondo non ha più segreti, anche se per ora si nascondono nell’oscurità. Ioan Adam, Assedio – romanzo scritto con pochissime virgolette, prefazione 

Nel suo nuovo romanzo Una tribù gloriosa e morente (il terzo libro in romeno, dopo L’anno in cui fu inventato il cigno, 1997, e Il dolce mistero della follia, 1998), il giovane narratore Ardian‑Christian Kyçyku prosegue con audacia il suo progetto di una nuova mitologia balcanica. Al fondamento iliro‑traco si sovrappongono i temi della storia albanese, ma anche le leggende o gli echi leggendari del mondo ottomano, fortemente insaporiti dalle tradizioni più o meno ad hoc dell’amalgama di popolazioni all’interno del famoso “barile di polvere” dell’Europa. Una materia così ricca si trasforma quasi spontaneamente in mitologia, ma il romanziere la sottopone costantemente, con violenza sensuale, alla prova dell’allegoria, della parabola e della metafora, riciclando miti e inventandone di nuovi, lasciando che la lingua evolva in stile barocco e conferendo al logos una fervida perversione. Ne risulta la cronaca di una storia apocrifa, pari a quella registrata nei manuali di storia, superiore persino in espressività grazie al fluire come in un poema di una narrazione finemente cesellata. Dan-Silviu Boerescu, Balcania Magna, prefazione 

… un romanzo voluminoso e favoloso, intitolato Una tribù gloriosa e morente, scritto con grande ambizione e disinvoltura, che si propone, né più né meno, di reinventare i Balcani in chiave parabolica. L’autore manifesta una sicurezza notevole nella scrittura, al punto da non credere che, in realtà, la sua lingua madre non sia il romeno, ma l’albanese. (…) Sostenitore della metafora centrifuga che si dispiega su molte pagine, inglobando la realtà, sia che si tratti di evocazion storica, conflitto tra personaggi o descrizione paesaggistica, Ardian Kyçyku dà l’impressione di poter fare qualsiasi cosa, essendo vigoroso e particolarmente fantasioso. Dan Stanca, România Liberă

Ardian‑Christian Kyçyku ci appare già come una delle figure di calibro della prosa contemporanea, sia romena, albanese, balcanica o continentale. Perché, a nostro modesto parere, il valore di questo autore supera i confini di una patria e di una regione geografica, tendendo a un’espressione in potenza, all’uso di un registro di simboli travolgenti, trasgredendo un universo limitato a una certa appartenenza geografica (…) ArdianChristian Kyçyku è già un maestro del trattamento fabulatorio”. Ha la capacità di creare un universo speculare colossale, in cui i volti degli eroi si modificano, a seconda dell’angolo di rifrazione temporale. Per questo le 33 sequenze epiche di Il dolce mistero della follia possono unirsi e respingersi, come in un gioco di cannocchiale, creando e disfacendo combinazioni multiple, che tuttavia trovano, indipendentemente dall’angolo che forma la logica e anche l’unità del complesso epico originario. Titus Vîjeu, Un Marquez balcanic, 2001

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